Miriam Tola – Rassegna sindacale

L'obiettivo sul lavoro

di Miriam Tola

Fabbriche e volti di operai in epoche diverse. Storie di lavoro filmate
da registi che hanno portato la macchina da presa all’interno di
realtà differenti. Alcune fanno parte del passato remoto, di una realtà
che non esiste più, sorpassata dal cambiamento dei modelli
produttivi. Altre sono attuali e dolorose. Quest’anno la 58/a Mostra
del cinema di Venezia ha aperto le porte all’incontro tra cinema e
lavoro. Dai lungometraggi di Ken Loach e Laurent Cantet (premiato
nella sezione Cinema del presente) all’italiano Vincenzo Marra, che
nel suo film Tornando a casa, vincitore della Settimana della critica,
racconta la dura esistenza di un gruppo di pescatori di Procida. Fino
ai documentari presentati nella sezione non competitiva Nuovi
Territori ovvero Un giorno all'Olivetti-Visitando la fabbrica di Ivrea di
Luigi Veronesi e Asuba de su serbatoiu (Sul serbatoio) di Daniele
Segre.

Di questi ultimi colpisce la radicale diversità: luoghi, tempi, processi
produttivi, identità, condizioni di lavoro sono agli antipodi. Il primo è
l’opera incompiuta di Luigi Veronesi, il poliedrico artista scomparso
nel 1998. Pittore, incisore, grafico, scenografo, costumista, fotografo
e regista, Veronesi è stato uno dei maestri dell’astrattismo. Nel
dopoguerra la Olivetti gli affidò il compito di filmare il progetto
industriale di Adriano, uno dei capitalisti più singolari del nostro
panorama imprenditoriale. Un progetto che era anche un sogno,
quello di una fabbrica “etica” in cui coniugare la dignità degli operai
con le esigenze produttive.

Così, tra il ’46 e il ’47, Veronesi entrò nella ville radieuse di Ivrea per
riprendere la costruzione delle macchine da scrivere. Il suo
mediometraggio, dominato dal silenzio totale, si apre con lunghe
carrellate sugli esterni della fabbrica per poi cominciare a viaggiare
tra i lavoratori, nella mensa e nei reparti di fusione del metallo. Non
mancano neppure immagini delle loro abitazioni e del tempo libero. Il
tutto è girato con inquadrature irregolari, un montaggio serrato e un
uso del colore che ricorda quello degli impressionisti e tradisce la
familiarità del regista con le arti figurative. Ma Veronesi non riuscì a
ultimare il suo film. Nel gennaio scorso la sua famiglia ha depositato i materiali originali presso l’archivio della Fondazione Cineteca italiana e, con il contributo della Fondazione Adriano Olivetti, il documentario è stato restaurato.

Contrasta radicalmente con la quieta operosità di quelle immagini il
lavoro di Daniele Segre. Nel suo Asuba de su serbatoiu si assiste
all’agonia della fabbrica. Alla sua fine inutilmente contrastata dagli
operai. Il regista ha scelto i toni della cronaca per documentare la
storia della Nuova Scaini di Villacidro, la fabbrica di batterie per il 20
per cento di proprietà dell'Agip Petroli in cui 152 lavoratori, alla fine
dello scorso decennio, hanno lottato per tre anni contro il
licenziamento. Dopo un anno passato senza ricevere neppure una
lira di stipendio essi decidevano di occupare i serbatoi di gas
propano che danno il titolo al film. Ma nel settembre 2000 venivano
comunque licenziati, perdendo la battaglia che Segre ha voluto
ricordare con un documentario che lui stesso definisce “di
resistenza, sia per gli operai che per il regista”.

Nelle mani di Segre la videocamera digitale è diventata uno
strumento per “rivendicare il diritto di esistere degli operai in un
momento in cui i mezzi di informazione questa visibilità la negano o
la distorcono quotidianamente”. Per lui, ex insegnante di educazione
fisica, fotografo per hobby e filmaker dal 1975, mettere in scena il
lavoro è quasi una vocazione. Dal 1989 ha creato a Torino la Scuola
video di documentazione sociale, esperienza durata fino al 1997. Nei
primi anni 90 è stato fra gli operai dell’Enichem di Crotone e tra i
minatori sardi della Carbosulcis per realizzare, in collaborazione con
la Cgil, i film Crotone, Italia e Dinamite. Poi ha filmato la chiusura
della Falck di Sesto San Giovanni in Un solo grido lavoro del 1998.
Nelle sue immagini prevalgono i primi piani accompagnati dalle parole dei protagonisti. Come l’operaio di Villacidro che afferma: “Non vogliamo garanzie, vogliamo solo sapere”.

Fare il regista significa per Segre avere “un ruolo attivo, non solo
culturale, ma anche politico”. Certo, i suoi film non hanno nulla di
glamour e possono risultare persino un poco noiosi nel loro
raccontare sempre di fabbriche che chiudono, di scioperi, picchetti,
bandiere sindacali che sventolano. Ma, senza demagogia né facili
ideologismi, offrono alcune utili controindicazioni a chi, e ormai sono
in tanti, insiste nel volerci propinare medicine come l’abolizione dello
Statuto dei lavoratori.

(da Rassegna sindacale, n. 33, settembre 2001)